Critica

M. Longhi
Vedere i chiari paesaggi di Morando – angoli amati della sua terra natia, che si stende alle pendici del Monte Baldo, in vista del Garda – è come immergersi  in un mondo sereno, senza angosce, senza paure, senza cerebrali perversioni. Odor d’aria buona, direbbe Civinini, parafrasando il titolo del suo libro.  L’elogio più grande che si può fare all’opera di questo schivo artista è dire che è una creazione pura, genuina al cento per cento; certamente con dei limiti,  ma sono limiti discreti, non appariscenti, che non turbano coloro che si accostano al fatto d’arte con purità d’intenti e con “occhi chiari”, come quelli del  pittore. Prima di essere artista è un uomo, con la “U” maiuscola. Varese, “La Prealpina”, 1965.

Carlo Segala
Il pittore Lodovico Morando testimonia, accanto ad una notevolissima impostazione strutturale della figura, una acuta scienza del colore e della luce, visti in  un assieme delle linee definite e bloccate unitariamente, entro i limiti formali di un figurativismo post-novecentista, di larvato sapore metafisico. In Morando,  l’esperienza compositiva che fu propria di artisti come Casorati e che, da noi, fu variamente ripresa dal Trentini, è, per così dire, liberata dai confini del  formalismo stilistico, dai limiti della impostazione scolastica ed è sentita in senso meramente lirico, con accenti poetici squisitamente personali. Il Morando si è riportato ad una visione che, come accennato, tende ad intimizzare, a selezionare sul piano poetico; una visione ferma e composta della  realtà: quasi che il tempo, fermatosi in un’ora morta, in un attimo segreto, avesse eternizzato certe arcane sensazioni, certi momenti emotivi, che solo ora  ritornano, purificati dalla memoria, a parlare distintamente alla fantasia dell’artista.  Verona, 1965

G.L. Verzellesi
Allievo di Antonio Nardi, Morando ama rievocare quel senso di solitudine serena che spira dalla visione di certi luoghi dove domina ancora il silenzio della  natura e due vecchie case o un pagliaio sbilenco bastano a suscitare modesti ma sinceri entusiasmi.  Verona “L’Arena”, 1965

Mario Portalupi
Morando è un sintattico. Con questo intendo dire che egli osserva l’integrità dell’immagine, v’impianta la scena con sua competenza d’elementi – sia essa  pertinente al paesaggio avvicinato, per esempio, che alla natura morta dolce e delicata – senza cedere a compiacenze nei confronti della realtà a cui si  ispira. Tali temi, e del resto il ritratto, il pittore esegue cordialmente; ma sia la cordialità sia la semplicità delle narrazioni in tela – le quali presuppongono gli attimi  loro d’interpretazione e penetrazione visiva, il genuino stato di grazia, l’occhio che penetra e coglie – si traducono in versioni tutte basate sullo svolgimento  d’un linguaggio e d’una vena che non hanno esitazioni, fratture, mollezze, improprietà espressive come accade tanto di frequente a quei pittori e pittrici  incerti d’animo e di pennello pur tuttavia esibitori in mostre d’una fragilità di “contenuto” sin troppo accusatrice.  Milano “La Notte”, 1966

Jo Collarcho
Fra tanto imperversare di “lingue diverse e orribili favelle” pittoriche, giunte a tale caotica confusione che più non è dato disceverare fra pittura e scultura,  una realmente lieta e serena oasi costituisce per il critico (e, a maggior ragione, altresì per il pubblico) la onesta e manifesta espressione del pittore  Lodovico Morando.  A suo titolo di merito grandissimo ha da ascriversi la non più giovane età, la cosciente e coerente fermezza con la quale, avendo saputo rifuggire da tutte le  innumerevoli seduzioni e richiami di certa contemporanea pseudopittura di facile successo e di rapida esecuzione, è pervenuto alla validità attuale.  Elaborando ed affinando con squisita sensibilità ed infinito amore un suo personalissimo linguaggio, conduce da anni un ragionamento rettilineo logicissimo  che ha, oggi, raggiunto una potenza comunicativa di assoluta immediatezza: potrà, certa critica condizionata, impegnata ed avveniristica, rimproverare a  Morando di non avvalersi di artifici, di equilibrismi, di piccole quanto scontatissime “ruseries” usate ed abusate dalla pletora dei “cagliostrini” cui si attribuisce  facile merito di novatori della pseudopittura contemporanea. Ma il pubblico italiano, meno sciocco e meno sprovveduto in materia di Arti Figurative di quanto  pseudocritici e pseudopittori e pseudoscultori possono ritenere, ha – e non da oggi – riconosciuto a Lodovico Morando il posto che gli spetta fra gli onesti  prosecutori di quella tradizione pittorica (intendo dell Pittura che per la sua validità è destinata a rimanere nel tempo) che ha costituito in ogni epoca vanto e  primato della civilissima Italia nostra.  Facile sarebbe difendersi,con frasi tornite e vaniloquenti, in saputelle ed elucubrate descrizioni e del mezzo espressivo e della tavolozza e dei pregi artistici  delle opere di Lodovico Morando: io preferisco concludere invitando il pubblico ad esaminare con attenzione e, perchè no?, con affettuosa riconoscenza le  opere che Morando espone senza la pretesa di presentare dei capolavori, senza l’albagia del profeta e la prosopopea del Maestro.Sono assolutamente  certo che, dopo questo esame, il pubblico comprenderà perfettamente perchè ho parlato di “affetuosa riconoscenza” nei confronti dell’Artista.  Di quest’uomo dai capelli bianchi, dal volto sereno, dal sorriso aperto, dagli occhi chiari come quelli di un fanciullo, occhi che sanno ancora vedere con  purezza la realtà di quella Natura che Iddio creò bella, superlativamente bella, senza dubbio per ripagare gli uomini degli infiniti affanni, dei molteplici  tormenti che in ogni tempo (e quindi anche in presente) hanno contrappuntato la via degli umani.  La realtà di quella Natura che Lodovico Morando sa ancora vedere bella e rendere, bella quale è in realtà, sulla tela; per la gioia dei suoi simili, per una  sommessa, devota preghiera levata all’Iddio creatore.  Verona, 1967

Mario Lepore
Costruisce con piani larghi e sintetici, semplicemente, in qualcosa ricordando certo Casorati. Ha un gusto elegante di colore limpido, intonato con grazia e  controllo attento, che ha le sue note più belle in alcuni freschi verdi, azzurrini e rosati. E’ un narratore delicato e di lirica sensibilità.  “Corriere d’Informazione”, 1967

Salvatore Castagna
Schivo a far parlar di sè, eppure in lui tutto ispira fiducia e chiarezza di idee. Da quando – e sono alcuni anni – Morando ha ripreso in mano i pennelli, dopo  gli studi severi all’Accademia Cignaroli, ed una parentesi di lavoro massacrante, per allevare la famiglia assai numerosa, il suo cammino nell’arte è stato un  successo in crescendo. Mostre in tutta Italia, premi aggiudicatisi in concorsi nazionali ed esteri, lo hanno posto all’attenzione riguardosa di critici e della  cronaca d’arte. Va scoprendo gli angoli più suggestivi, i più genuini del paterno monte Baldo, e li tramanda nelle sue tele con tale efficacia descrittiva da  piacere a tutti. Certi suoi toni casoratiani, d’indubbio valore cromatico, dimostrano come egli sappia cogliere, intuire il paesaggio, rendere viva la natura morta, far parlare il  ritratto con abilissima sicurezza psicologica, donando un tale senso lirico, che ne fa della pittura genuina, di successo e che si tramanderà.  Una mano di pittore abile, convincente, che sa il fatto suo, che non si lascia impressionare dalla moda, ma che segue lo slancio, lo spirito del proprio animo.  Il Monte Baldo in genere a Caprino sono fieri del loro pittore, degnissimo continuatore dell’eredità dell’altro grande maestro caprinese, Alberto Stringa.  Verona, “Il Gazzettino”, 23 febbraio 1969

Primo Baldini
Sapevamo dei suoi lusinghieri successi in concorsi nazionali ed internazionali che lo hanno visto dal verismo della sua prima maniera, a forme sempre più  personali.  Sapevo del suo talento ed è quindi con piacere che presento il pittore Morando. E’ vero che egli ha superato, pertanto, il verismo per affidarsi al colore quasi  puro da disporre in larghe pennellate sulla tela, ma ciò non deve far credere che egli abbia abbandonato del tutto le espressioni del vero, che invece si  presenta in un modo tutto sognato nella poesia dei suoi colori preferiti.  In ogni suo dipinto, infatti, si può leggere una pagina nuova quasi sempre inventata, come inventati sono i colori di cui egli si serve per descrivere una  realtà, che rimane fissata sulla tela con profondo linguaggio psicologico e sentimentale.  Nella pittura di Morando la tavolozza raccorda con toni rigorosi grigi, bleu, rosa e verdi, un senso della spazialità, serena e riposante di rara bellezza  costruttiva.  Casale Monferrato, 1970

Luciano Bertacchini
La pittura di Lodovico Morando mi era nota ma, per conoscerla meglio, dovevo fermarmi, come ho fatto, nella sua casa, nel suo studio di Caprino;  approfittare, a fine autunno, di un bel pomeriggio di sole, scorrere pareti e tele esposte, figure, paesi, oggetti, interni, dipinti di chissà quant’anni di lavoro.  Affetti ed esperienze; incontri meditati od improvvisi. La spontaneità, la vitalità di un pittore che non nasconde trame, che non ha atteggiamenti misteriosi.  Ricerche suggerite da un essenziale scandire di volumi, da soluzioni e forme “post cubiste” ma, con davanti i pronti sentimenti, la semplicità del dialogare  umano. Dietro i volti e le cose, i puliti aspetti di un fare genuino, nella stanza o nell’angolo di lago, l’insostituibile presenza di racconti, pressanti, quotidiani.  Quella luminosità, quelle rifrangenze solari che, nella pittura di Morando, sembrano espandersi, dilatarsi come dato inconfondibile di visioni divenute  congeniali, come risultato di attese serene, confidenti. Nella varietà di temi, il rispetto di quanto è naturale l’occasione di un colloquio, l’eco di un disteso  impasto di colore. Soprattutto, in Lodovico Morando, la suggestione di un ambiente che vissuto, amato, assaporato, può divenire un’oasi felice, senza pesi  d’angoscia, senza gli urti incombenti di problemi e vicende essenziali.  Verona, 1970

Angelo Marini
Dev’essere un sogno da lungo accarezzato.  Difatti la casa tutta luce, appollaiata al lembo meridionale del Baldo, un pò fuori di Caprino, e più in alto, così da riscoprire ogni giorno albe e tramonti sulle  colline e sul piano, sa ancora di fresco. Sarebbe la meta di ogni artista aprire la porta di casa agli amici ed ai forestieri e farli trovare di getto in una stanza  vasta e luminosa, mostra permanente di quello che l’artista sia e valga.  Sulle pareti, ad intelligente perimetro poligonale, paesaggi, figure di persone, qualche fiore, misurano senza timore di sbagliare il tipo e lo stile del pittore.  Morando appartiene alla categoria degli artisti in cui il tempo non ha operato corrosione. Evoluzione del giorno in cui il presidente Cavazzana e il direttore  Girelli della Cignaroli dissero al ragazzo: “Va e Cammina”; evoluzione sì, ma non corrosione, cioè l’allettamento di forme nuove non sentite, seppure urlate  dalla moda.  Il pittore si è evoluto, ed è logico, se ha genio, ma il suo stile, la sua pennellata chiara, luminosa, quasi a macchie, a chiaroscuri tagliati e spaccati, più che  accarezzati, sono rimasti inconfondibili. Insomma una pittura di lirica sommessa, siano case, paesaggi, mercati, ritratti visti sempre su uno sfondo e con uno spirito d’aria montana o campestre,  come un richiamo insopprimibile e gelosamente custodito del paesino non lontano Castion, feudo d’una famiglia nobiliare antica che gli spalancò la villa per  una giornata di onoranze. Simbolo dello spirito giovane del pittore vedo sul cavalletto il ritratto quasi finito d’una giovane serena, fidanzata d’un suo amico.  Verona, agosto 1972

Antonio Bevilacqua
Morando ancor giovane, frequentò l’Accademia “Cignaroli” di Verona, conoscendo per primo il “verismo” che ha superato, affidandosi a creazioni personali;  al “vero” seppure risenta la filtrazione originaria, non è rimasto ancorato, ma si è formato un mondo tutto proprio in cui sognando si affida al predominio del  colore, in una ricca gamma di tonalità. Ogni tela è varia con marcate caratteristiche di fondo che gli permettono di descrivere una realtà scaturita da un  linguaggio oltrechè rigorosamente tonale, sinceramente schietto di linee armoniose, da produrre immediati effetti psicologici.  Morando, nello scegliere i suoi soggetti, non scende a particolarismi decorativi, bensì imposta l’impalcatura ad una visione di insieme: la figura non è altro  che il riflesso di una sua nota stilistica, intonata ad un istinto impulsivo e ad uno stato d’animo di serena pacatezza, come nei paesaggi, dove la natura  appare suscettibile di profonda elaborazione, e suscita palpitanti sentimenti umani.  L’Aquila, 1972

Bonetti
Le sue visioni – nature morte, scorci realizzati “en plein air” testimoniano la serietà della preparazione e il frutto dello studio giovanile all’Accademia  Cignaroli: un viatico severo, lineare, che l’ha fatto padrone del linguaggio e abile alla tecnica. Morando si accosta al paesaggio con umiltà e calore e ne  nasce una pittura saporosa, robusta e talvolta venata da una genuina e semplice vena poetica. Lontano da ogni influsso di moda, opera con sincerità ed i  risultati a cui approda sono senz’altro positivi, poichè prodotto schietto di una natura che nel contatto diretto della realtà trova una autentica carica emotiva.  Venezia, “Il Gazzettino”, 1972

M. Pecchioli
Morando pittore possiede una tale fantasia di toni, che rende con schiette pennellate, che carica di colore ogni minimo particolare, esprimendo così tutte le  sue emozioni d’artista. Il segreto (più che acquistato direi che gli è innato) è che Morando sa cogliere anche gli effetti meno intuibili della luce, li analizza e li  rende nella giusta dimensione, distribuendoli con sempre viva freschezza. Il colore, ravvivato da tante sfumature, viene robustamente caricato e dà un  sicuro effetto di insieme all’opera. Questo festoso cromatismo evidenzia la crescita del pittore caprinese nell’ambito della tradizione pittorica veneta, anche  se Morando ha raggiunto una personale caretterizzazione di un impressionismo equilibrato tra il sentimento e la resa formale. Notevoli, soprattutto, le nature  morte, talmente piene di poesia e così esuberanti di fantasia che sembrano vivere di luce interna.  Verona, l'”Arena”, luglio 1974

Berardo Taddei
Una trentina di opere che Lodovico Morando ha portato alla Galleria “La Fonte” sono raccolti spontanei e seducenti, in cui la cultura è presente nelle sue  componenti più pregevoli. Le opere esposte sono fatte di una pittura concreta, solida, ma nello stesso tempo raffinata, che si offre al pubblico e alla critica,  con tutta la spontaneità del suo autore. Infatti Morando ha il dono di un disegno incisivo, che sa completare con la scioltezza dei colori più appropriati,  svelando le inesauribili sfumature della voce del suo animo sensibile e del suo sguardo sempre sereno. Si prenda ad esempio il quadro di Angelo, il “Barba”  di Costermano: vi è l’incantesimo di una figura patriarcale, dotata di una serenità che annuncia il proprio tremonto, ma che esprime senza retorica, la  parennità dei valori umani; paesaggio che da Castion degrada dolcemente verso il Lago di Garda, impreziosito di tonalità, è di meraviglioso effetto.

Vasco Senatore Gondola
Lodovico Morando, pittore veronese nato il 1917, è un artista non improvvisato; i livelli cui egli è giunto e cui continuamente giunge, in un interrotto processo  di maturazione artistica, sono il risultato di un lungo lavoro di studio sui metodi e sui contenuti artistici, iniziati negli anni in cui l’artista frequentava  l’Accademia Cignaroli di Verona, e proseguiti senza cesure negli anni successivi, con la assiduità, l’umiltà, la dedizione che solo l’artista inconsciamente  consapevole del proprio valore può possedere.  Nella pittura di Lodovico Morando è rimasta impressa la primitiva matrice verista, così come nella stessa è riscontrbile la presenza della tradizione  coloristica veneta. Su queste basi però l’artista ha saputo elaborare un proprio originale modulo espressivo, che, se si rifà al plasticismo cubista, sfugge  però al geometrismo opprimente e sconvolgente di esso, e che, se ripropone un’atmosfera incantata e misteriosa fatta di metafisici giochi di ombre quasi  lunari, conserva però sempre uno stretto legame col mondo naturale e umano, colle semplici cose quotidiane, sottraendosi così all’arida strattezza in cui  solitamente cade la pittura metafisica. Le figure di Lodovico Morando sono inquiete, ma di quell’inquietudine che si rasserena nel contesto globale della visione, senza dare luogo ad  esasperazioni esistenziali. Il colore suo, che tutta la ricerca del maestro è volta da sempre a padroneggiare il colore, è passato dalle tinte cariche,  dirompenti, energiche e violente delle prime espressioni pittoriche, ad un progressivo smorzamento dei contrasti cromatici, alla acquisizione di una armonia  totale, capace di scostruire da sola lo stesso impianto figurativo. E’ questo appunto l’approdo genuino e originale cui da sempre ha mirato e cui ancora mira,  con tecnica ormai scaltrita, il mastro veronese: sostituire alle figure i toni, liberare la propria arte dalla schiavitù delle forme figurali, per renderla creatrice  stessa, coi propri toni cromatici e coi giochi d’obra e di luci, di nuove figure. Solo in questa prospettiva ci diviene comprensibile il nuovo personalissimo  realismo di Lodovico morando, quel realismo che è inquietante perchè ci toglie la figura quotidiana, e insieme rasserenante, perchè il mondo nuovo che  esso ricrea è soffuso di un’armonia luminosamente contemplativa; quel realismo in cui la magia dei toni cromatici ci ricrea un mondo assorto e silenzioso,  pronto quasi, ad ogni istante, a riplasmare le proprie forme mobili per creare effetti sempre nuovi, come avviene in un paesaggio fatto di ombre e di luci  lunari; quel realismo che è portatore d’un sereno messaggio di naturalità e di umanità, e che nella molteplicità delle sue manifestazioni ci sembra di poter  definire come “realismo sognante”.  Di tale “realismo sognante” Lodovico Morando, il discepolo di Trentini, l’emulo di Casorati, l’umanizzatore della pittura metafisica e cubista e il continuatore  in chiave moderna del colorismo veneto, può essere considerato il mastro di tutto diritto. Non senza motivo il suo credito nella critica d’arte non solo  nazionale è andato crescendo col marturare stesso dell’opera dell’artista.  Firenze, “La Ginestra”, 1976

Sebastiano Tedesco
Tale di paesaggi della sua terra, vibranti di luminosità, innamorato intreccio di piani dove i grigi, i viola, i turchesi, i blu primeggiano in aletrnanze  magistralmente calibrate; nature morte particolarmente felici, immerse nella luce specchiata da trasparenze fantastiche; ritratti di raffinata esecuzione;  maternità spiritualizzante da quella poesia che l’artista – nella misteriosa eccitazione del suo fare pittorico – trasfigura in liriche e dolcissime visioni.  La sua pittura è creazione di un mondo di sintesi, dove il colore – luce costruisce ampie campiture con stile inimitabile.  A Morando basta un paesaggio, un viale alberato, un fiore, un ragazzo che gioca, un porticciolo, una strada, un qualsiasi frammento, per costruire un  incomparabile racconto con la felice spontaneità degli artisti veri.  Superfluo fare degli accostamenti o tentare di inquadrarlo entro schemi fissi; Morando vive del suo crescere in purezza di intenti in una instancabile ricerca.  Ama la sua fatica, è rimasto fedele alla sua pittura, percorsa da intuizioni misteriose, che egli traduce in nitide strutture di ombre, luci e mezzeluci: stilistiche  costruzioni tonali di ampio respiro.  Vive nel suo vasto studio – eremo di San Michele (Caprino) a contatto diretto con la natura che fa rivivere su tele nette e pulite. Come un racconto di luce  ridotto agli essenziali contrasti. Ogni suo dipinto è una trama preziosa di contenuto, di limpidi e raffinati accostamenti, una sintesi equilibrata, un incastro di riflessi entro misure spaziali  intese come una poetica, che implica assoluta sincerità e intuizioni di ampie dimensioni. Malcesine, 1978

Antoine Boileau
E’ un artista che opera in campo nazionale ed internazionale con consapevolezza del suo impegno. Nelle opere più recenti dell’artista si può osservare la  costante evoluzione della sua arte. Egli viene da una scuola sentita e seguita con passione; le sue capacità lo hanno portato ad una sitesi pittorica che non  disdegna la tradizione; ha saputo trasformare e redere sempre più moderna ogni composizione, arricchendola con la svariata gamma dei colori,  puntualizzandola con i tocchi magici del suo pennello, rendendola espressiva e piacevole.  Malcesine, 1978

Roberto Cecchini
Chi da Bardolino, lasciati alle spalle lo splendido vino e le lusinghe dannunziane del Garda, sale nell’entroterra e percorre la valle del Tasso lungo la via che  conduce verso il Trentino, raggiunge Caprino Veronese, un centro piccolo e ridente, al di qua dell’Adige, di fronte alla Val Lagarina. Anche se comunque  varrebbe la pena di fermarsi, una ragione di più per una sosta è data dal fatto, che tra queste case ha scelto il suo studio Lodovico Morando, pittore da  cinquanta anni.  Una pittura sorridente e amica la sua, gioiosa e vitale come i colori che la compongono e la fanno brillare. Quasi un messaggio di fiducia dimenticata, che  torna a vivere in un mondo non così sanguinario e selvaggio come quello che ci ricorda. Le sue figure, i suoi paesaggi ampi e sereni, gli spicchi di lago si  esprimono in una lingua genuina.  Una pittura che parla all’anima, quasi un ricordo ancestrale che riapre nell’osservatore-lettore ricordi dimenticati di paradisi perduti per sempre. E la continua  ricerca di Morando – i suoi temi vanno dal verismo, con ricordi di colorismo veneto, al cubismo e al post-cubismo – si elabora giorno per giorno, senza mai  stancare, perseguendo nei diversi moduli lo stesso impegno di colloquio originale e naturale insieme. Una matrice autentica che nasce dall’infinito amore  dell’artista per la terra, la sua terra, sviscerata, gustata e scoperta in ogni suo più nascosto essere.  Un incontro quello con Lodovico Morando, che vale la pena di assaporare.  Roma, “Il Tempo”, 5 febbraio 1982

Giorgio Cortenova
C’è un modo antico come il pianeta, estraneo alla storia e agli sviluppi dei linguaggi, di poter essere pittori: esso corrisponde alla volontà di dipingere ciò che  si vede per il piacere di dipingere e per l’affermazione della propria sensibilità umana. Tutto il resto poco importa. Ha ragione Verzellesi quando scrive che  “Morando ama rievocare quel senso di solitudine serena che spira della visione di certi luoghi dove domina ancora il silenzio della natura”; ha ragione  perchè infatti Morando non ha mai inteso la pittura come una palestra del sapere o come un laboratorio d’invenzioni stilistiche. Morando ha dipinto i suoi  luoghi allo stesso modo in cui se ne parla, alla maniera, voglio dire, di un racconto amichevole o di una lettara senza pretese di letteratura. Fa bene la  presidenza dell’A.P.T. del Garda a promuovere pittori di questa terra, come Lodovico Morando, perchè, al di là delle geografie, degli stili e dei linguaggi, vi è,  in ogni caso la deografia del pensiero, dei sentimenti e dei ricordi: una geografia il cui territorio è solo l’animo umano.  Verona, “Galleria Palazzo Forti”, 1997

Inoltre hanno scritto di lui: J. Pierre Jouvet – Verona maggio 1982 Prof. Dott. Hanns Theodor Flemming – Galleria Mensch 1991 Carlo Rigoni – Verona 1997 G. Ferrante – Critico d’arte Bryan & Scott – Colorado (USA) Mario Alzetta – “Voce di S. Marco” Venezia Pino Zanchi – “Giornale di Pavia” Galleria Artisti Associati – Merano Vice – “Gazzettino” di Venezia e “Corriere della sera” Giuseppe Brugnoli – “Giornale di Vicenza” Walter Visioli – Critico d’arte Enrico Buda – Critico d’arte Mario Rizzoli – Critico d’arte Nicola Dessy – Critico e giornalista Luigi Ceolari – Giornalista Enrico Varischi – Scrittore G.M. Bernardi – Critico d’arte A.M. Conti – “Mezzogiorno” quotidiano d’Abruzzo Gloria Caucchioli – Critico d’arte Nello Ponzo – Rivista “Nuovi Orizzonti” A. Scemma – Critico d’arte e giornalista Sergio Stancanelli – Scrittore e critico d’arte Alfredo Galliazzo – Critico d’arte Elio Marcianò – Critico d’arte Note bibliografiche Testi tratti dal libro “Lodovico Morando” di V.S. Gondola Luglio 1997